Vi ricordate l’articolo “Vin Santo, usanza ritrovata”? (vi consigliamo di leggerlo, se ancora non l’avete fatto.)
Adesso vi raccontiamo la fine della storia…
Come promesso, negli ultimi tre mesi, ogni giorno, siamo saliti nel sotto tetto e controllato lo stato dell’uva, aprendo le finestre nelle giornate ventose e chiudendole nei giorni di pioggia.
Sono appena passate le feste di Natale, il volume dell’uva è nettamente diminuito e i grappoli hanno raggiunto il giusto grado di appassimento diventando color caramello.
E’ arrivato il momento di pigiare le uve.
Mauro ci presta il suo strettoio, con le stecche di legno di castagno, che profuma ancora di zucchero dell’anno prima. Uno ad uno togliamo i grappoli dai cassoni riempiendo i secchi che vengono calati giù dalla finestra del sottotetto e che svuotiamo dentro lo strettoio.
Quando è colmo, fino all’orlo, lo tappiamo e iniziamo a stringere. Dobbiamo stringere poco per volta e poi lasciare il tempo che il mosto scenda piano, piano attraverso i chicchi schiacciati, per essere raccolto in un secchio. Questa fase richiede alcuni giorni, perché i grappoli dovranno essere strizzati più volte. Dal piatto dello strettoio scende costante e lento un liquido denso, zuccherino dal color ambrato. Questo liquido diventerà Vin Santo.
Una volta strizzata tutta l’uva, il mosto raccolto viene versato nei caratelli di castagno, che son già stati sistemati nel sottotetto. Riempiamo il caratello per due terzi della sua capienza, perché al cambiare della temperatura esterna il mosto cambierà il suo volume.
I caratelli dovranno sentire le stagioni che passano, il caldo d’estate e il freddo d’inverno così da bloccare e far ripartire la fermentazione del mosto in un moto continuo, perché il Vin Santo è materia viva.
A questo punto il nostro lavoro finisce, diamo un identità ai caratelli scrivendo annata, data di pigiatura, mix di uve contenute e li sigilliamo. Lì rimarranno per almeno tre anni, durante i quali parte degli zuccheri si trasformeranno in alcol, una parte dell’acqua evaporerà e il mosto diventerà ancora più zuccherino denso e ambrato, diventerà Vin Santo.
Non ci rimane che aspettare e incrociare le dita, gustando nel mentre il Vin Santo appena svinato dei tre, quattro anni precedenti, magari davanti ad un camino acceso, alla fine di un ricco pasto che si è concluso con dei cantucci di Prato, immaginando profumi e sapori di quello che ancora deve venire.
Ciao Patrizia, un buon Vin Santo, se ben conservato, è buono anche dopo 25 anni. Anche se in bottiglia con il tempo si illimpidisce, diventa più denso e profumato. Facci sapere quando lo apri 😊